giovedì 27 novembre 2008

Prova

Prova pppp

Di Maria

Due prove schiaccianti: l'ultimo Mondiale under 20 e la recente Olimpiade. I cercatori di grandi giocatori, che passano al setaccio il mondo del football appuntano queste due perle ad Angel Fabian Di Maria. Due perle lucentissime per una parure che non è ancora completa, ma che si pregusta già scintillante. In poco più di due anni dalla periferia del Mondo alla marcetta della Champions League, con lo sguardo umile e un po' impacciato di sempre, solo, ora, con due brillanti ai lobi che in quel viso allungato e genuino, ancora da ragazzo stridono un po'. Anche pensando alla faccia
nera e sudata che Di Maria aveva davanti agli occhi ogni giorno a tavola, il viso di papà Miguel, uguale a quello dei tanti che si massacrano riempiendo sacchi di carbone per pochi spiccioli nell'Argentina della crisi.



“Quando sono entrato al Monumental – dirà poi Di Maria – ho pensato alla mia famiglia e a tutti i sacrifici che hanno fatto per farmi arrivare fin qui.” Alla schiena che si spezzava a ogni sforzo di papà, alla bicicletta scalcagnata di mamma Diana che lo accompagnava al campo di El Torito, club della Lega di Rosario dove ha cominciato anche Nestor Sensini, apprezzatissima testa calcistica anche alle nostri latitudini. Solo che l'ex Udinese diventa presto un Lebbroso, e Angelito una Canaglia. A Rosario il calcio è diviso in due, rossonero Newell's o gialloblù Central, e quei nomignoli che si portano dietro da sempre per una partita amichevole saltata all'ultimo minuto, decenni fa, sono segno distintivo profondo. Quando arriva al campo del Rosario Central, 40 minuti di bicicletta, unica unità di misura della famiglia, la malnutrizione dovuta alla povertà viene notata immediatamente dal medico e dai compagni che lo ribattezzano Fideo, il nome dello spaghetto finissimo. Di Maria è un viso allungato e un sinistro da favola. Vederlo oggi appoggiare così velocemente quei primi passi, piantare scatti che lasciano inchiodati all'erba i difensori, colpire in maniera così coordinata la palla, agendo su leve non robustissime fa impressione: tutto frutto di undici anni alla scuola del Central, quel contropiede, lo scavino, il pallonetto che decide la finale Olimpica nasce negli anni Canalla. Mica tutta una storia semplice, chiaro. Nemmeno in campo. Ma c'è sempre, o quasi sempre, l'uomo buono che salva chi merita. Nella storia Angelito è certamente Angelo Tulio Zof, un istituzione al Central, che promuove in prima squadra un ragazzino che giocava poco nelle giovanili. Qui, oltre alla bontà, ci vuole occhio e competenza che non sono mai mancate al Viejo. In maglia gialloblù è insieme a tanti giovanissimi, con l'unica chioccia a nome Kily Gonzalez, venuto a chiudere la carriera dove l'aveva cominciata. Di Maria debutta a 17 anni, vince under 20 e Olimpiadi raggiunge la nazionale maggiore in due anni. Il Benfica anticipa l'Arsenal e Angelito deve abbandonare casa: per la prima volta i suoi genitori prendono l'aereo ed escono dal Paese. Giocatore da campo aperto, ottima corsa, esplosività nei primi passi, bel calcio, ottima tecnica: le virtù non mancano. Ma nemmeno i vizi: se è molto migliorato il suo modo di stare in campo, lascia qualche volta perplessi nella scelta della giocata: un dribbling di troppo o in una zona pericolosa, un passaggio ritardato o troppo anticipato. Qui c'è da lavorare, e quest'anno un tecnico rigoroso (pure troppo) come Quique potrà certamente aiutarlo. Per ora Angelito vede spesso la panca, ma non perdetelo di vista. Qui siamo tra i top 5 dei Grandi Giocatori ancora dormienti, ma pronti a esplodere alla prima scintilla. In fondo stiamo parlando di un ragazzo del 1988. Una vita di povertà, una bicicletta guidata dalla mamma per attraversare il quartiere pericoloso, e il carbone da tagliare e da rivendere tutti si santi giorni: no, decisamente non il vostro solito talento pronto a prendersi il palcoscenico. Proprio per questo può venire fuori di tutto, e c'è materiale per considerare quel tutto una sorpresa molto positiva. All'Inter hanno già preso informazioni.

CARLO PIZZIGONI


Fonte: Guerin Sportivo n.47/2008

Yebda



Ad Auxerre, se provi a chiedere di Hassan Yebda, oggi centrocampista del Benfica ma cresciuto in Borgogna, avrai due risposte distinte. Risposta A: Talento che non abbiamo capito. Risposta B: Talento che si perderà. Essì perché le qualità per diventare un centrocampista di altissimo livello ci sono. Da sempre. “Yebda, fai conto un Diaby o un Sissoko, ma con più talento, peccato che qualche volta troppo.” L'anonimo di Auxerre cita non a caso centrocampisti che sono passati per la società borgognona. La versione del centrocampista di origine algerina, classe '84, è lineare e conciliante: “Sono stato campione del Mondo under 17 con la Francia- dice-, pensavo di diventare un titolare nell'Auxerre ma ho avuto due brutti infortuni: il crociato nella mia prima stagione, dove sono stato fuori più di sette mesi, e la pubalgia nella stagione successiva. Quando mi sono ripreso non c'era più Guy Roux a gestire il gruppo ma Jean Fernandez, che non aveva fiducia in me. Così ho preferito andare a Le Mans.” Il nostro non racconta di un rigore battuto, anche se non designato dal Mister, alla Panenka e sbagliato che è ancora negli dei tifosi dell'AJA e qualche atteggiamento non esattamente irreprensibile. A Le Mans ha mostrato enormi progressi. Quest'anno ha tutta la fiducia di Quique: il talento è sempre lì, qualche imprecisione di troppo negli appoggi e alcune letture di situazioni un po' immaginifiche, ma soprattutto corsa, intensità, inserimenti e recuperi continui.

CARLO PIZZIGONI



Fonte: Guerin Sportivo n.47/2008
 
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